Memoria e conoscenza di una storia affossata!
di Claudio Sommaruga
ex IMI e deportato, ricercatore storico
E’ dovere dei protagonisti ricordare e delle istituzioni salvarne la memoria, perché i nipoti hanno il diritto di sapere come e a che prezzo i nonni hanno lottato per dare anche a loro la libertà e la democrazia!
La storia degli IMI, gli Internati Militari Italiani nei Lager nazisti, è paradossale, rimossa dai reduci traumatizzati e zittiti e affossata colpevolmente dagli italiani pur coinvolgendo 700.000 nostri militari e oltre 7.000.000 di congiunti e amici!
Per quelli delle poltrone non ci dovrebbero essere prigionieri, ma solo vincitori e caduti, ma noi IMI non eravamo dei codardi prigionieri ma dei volontari nei Lager per non collaborare col nemico. Non ci sentivamo eroi, perché gli eroi sono eccezioni e noi eravamo massa, ma eravamo fieri del dovere compiuto e della scelta continua pagata con 80.000 caduti nella prima resistenza, nei reticolati e per postumi!
Dopo la guerra ci accolse un’Italia diffidente, ingrata e distratta: per lo stato come avremmo votato tra monarchia e repubblica, bianchi e rossi? Per i monarchici eravamo i testimoni imbarazzanti e risentiti del pasticcio sabaudo dell’ “8 settembre”, per i fascisti i traditori, per i partigiani repubblicani, i relitti di un Regio Esercito correo di guerre perse fasciste ma che poteva dar ombra avendo avviata la Resistenza coi 700.000 “NO!”, con le armi dalla Corsica a Roma, Cefalonia, Lero, Balcania e addestrando i primi partigiani. Infine ci accolse la marea degli attendisti, quelli della non scelta, ora faccia a faccia con la nostra scelta continua e poi c’era la guerra fredda: guai dir male della Germania nostra partner e meta di emigranti!
Così le ragion di stato affossarono la nostra storia! Ma da un ventennio assistiamo al suo lento e difficoltoso recupero da parte degli ultimi superstiti, dei ricercatori storici e della scuola, ma ancora poco dai media e dalla gente. Al via ci sono le nostre testimonianze, dapprima reticenti ed ora in buon numero ma disperse, da sfrondare dall’emotività e dalla retorica, da controllare incrociandole e da integrare con quanto non si è ancora ricercato. Poi ci sono le fonti scritte tedesche e italiane, lacunose per negligenze e distruzioni belliche o volute.
Non ci furono solo Auschwitz e Cefalonia ma molti altri fatti eroici e drammatici di cui non si parla, magari per mancanza di sopravvissuti e annotazioni dei responsabili: come le stragi finali, le marce della morte, i ritardatari della “leva Graziani” badogliani per i fascisti e fascisti per i badogliani ma inquadrati nei battaglioni di disciplina di lavoratori militarizzati ai fronti come gli IMI/KGF ex resistenti con le armi… e poi le seconde prigionie sotto Stalin o Tito, l’epopea balcanica della invitta div. ”Garibaldi”, i prigionieri tedeschi di Corfù, unici in mano a Badoglio, le controverse fosse comuni, ecc., ecc.
Sono passati 60 anni e abbiamo solo la banca-dati benemerita dello storico tedesco Gerard Schreiber e poi delle cronache e storie parziali, magari ancorate a numeri ballerini, a spanne o equivoci perché non si sa a che cosa, luoghi e tempi si riferiscano! Ma negli archivi tedeschi, italiani, della Croce Rossa e del Vaticano vi sono milioni di dati ignorati, come le 364.000 schede IMI della Wehrmacht da poco riscoperte, i 180.000 avvisi di cattura della Croce Rossa, i 700.000 fascicoli distrettuali di militari italiani, le 120.000 domande documentate d’indennizzo degli “schiavi di Hitler” (pretestuosamente respinte al 98% dalla nuova Germania!) e chissà quanti altri dati negli archivi istituzionali italiani, tedeschi, ex repubblichini e vaticani, militari e civili, centrali e locali, pensionistici, anagrafici, sodali, privati, ecc.: un mondo sotterraneo ancora da esplorare con l’informatica e superando le dighe burocratiche!
Le testimonianze, avvio della storia, devono dare uno scrollone agli italiani immemori, ora o sarà tardi: è una delle ragioni della nostra mostra!
E’ dovere dei protagonisti ricordare e delle istituzioni salvarne la memoria, perché i nipoti hanno il diritto di sapere come e a che prezzo i nonni hanno lottato per dare anche a loro la libertà e la democrazia!
La storia degli IMI, gli Internati Militari Italiani nei Lager nazisti, è paradossale, rimossa dai reduci traumatizzati e zittiti e affossata colpevolmente dagli italiani pur coinvolgendo 700.000 nostri militari e oltre 7.000.000 di congiunti e amici!
Per quelli delle poltrone non ci dovrebbero essere prigionieri, ma solo vincitori e caduti, ma noi IMI non eravamo dei codardi prigionieri ma dei volontari nei Lager per non collaborare col nemico. Non ci sentivamo eroi, perché gli eroi sono eccezioni e noi eravamo massa, ma eravamo fieri del dovere compiuto e della scelta continua pagata con 80.000 caduti nella prima resistenza, nei reticolati e per postumi!
Dopo la guerra ci accolse un’Italia diffidente, ingrata e distratta: per lo stato come avremmo votato tra monarchia e repubblica, bianchi e rossi? Per i monarchici eravamo i testimoni imbarazzanti e risentiti del pasticcio sabaudo dell’ “8 settembre”, per i fascisti i traditori, per i partigiani repubblicani, i relitti di un Regio Esercito correo di guerre perse fasciste ma che poteva dar ombra avendo avviata la Resistenza coi 700.000 “NO!”, con le armi dalla Corsica a Roma, Cefalonia, Lero, Balcania e addestrando i primi partigiani. Infine ci accolse la marea degli attendisti, quelli della non scelta, ora faccia a faccia con la nostra scelta continua e poi c’era la guerra fredda: guai dir male della Germania nostra partner e meta di emigranti!
Così le ragion di stato affossarono la nostra storia! Ma da un ventennio assistiamo al suo lento e difficoltoso recupero da parte degli ultimi superstiti, dei ricercatori storici e della scuola, ma ancora poco dai media e dalla gente. Al via ci sono le nostre testimonianze, dapprima reticenti ed ora in buon numero ma disperse, da sfrondare dall’emotività e dalla retorica, da controllare incrociandole e da integrare con quanto non si è ancora ricercato. Poi ci sono le fonti scritte tedesche e italiane, lacunose per negligenze e distruzioni belliche o volute.
Non ci furono solo Auschwitz e Cefalonia ma molti altri fatti eroici e drammatici di cui non si parla, magari per mancanza di sopravvissuti e annotazioni dei responsabili: come le stragi finali, le marce della morte, i ritardatari della “leva Graziani” badogliani per i fascisti e fascisti per i badogliani ma inquadrati nei battaglioni di disciplina di lavoratori militarizzati ai fronti come gli IMI/KGF ex resistenti con le armi… e poi le seconde prigionie sotto Stalin o Tito, l’epopea balcanica della invitta div. “Garibaldi”, i prigionieri tedeschi di Corfù, unici in mano a Badoglio, le controverse fosse comuni, ecc., ecc.
Sono passati 60 anni e abbiamo solo la banca-dati benemerita dello storico tedesco Gerard Schreiber e poi delle cronache e storie parziali, magari ancorate a numeri ballerini, a spanne o equivoci perché non si sa a che cosa, luoghi e tempi si riferiscano! Ma negli archivi tedeschi, italiani, della Croce Rossa e del Vaticano vi sono milioni di dati ignorati, come le 364.000 schede IMI della Wehrmacht da poco riscoperte, i 180.000 avvisi di cattura della Croce Rossa, i 700.000 fascicoli distrettuali di militari italiani, le 120.000 domande documentate d’indennizzo degli “schiavi di Hitler” (pretestuosamente respinte al 98% dalla nuova Germania!) e chissà quanti altri dati negli archivi istituzionali italiani, tedeschi, ex repubblichini e vaticani, militari e civili, centrali e locali, pensionistici, anagrafici, sodali, privati, ecc.: un mondo sotterraneo ancora da esplorare con l’informatica e superando le dighe burocratiche!
Le testimonianze, avvio della storia, devono dare uno scrollone agli italiani immemori, ora o sarà tardi: è una delle ragioni della nostra mostra!