Mostra “Schiavi di Hitler.
L’altra Resistenza. Racconti, disegni, documenti dei deportati italiani 1943-1945”
La mostra “Schiavi di Hitler. L’altra Resistenza. Racconti, disegni, documenti dei deportati italiani 1943-1945”, realizzata in una prima edizione alla fine del 2004, ha carattere divulgativo e didattico e si occupa in particolare delle vicende degli Internati Militari italiani (IMI).
La presente edizione, inaugurata a Roma nella biblioteca del Senato, dove è stata allestita dal 4 aprile al 3 maggio 2014, è stata rinnovata nella grafica, contiene un testo di contestualizzazione e si compone di 29 pannelli dotati di dispositivi QR che consentono di accedere a sequenze di video-testimonianze pubblicate su questo sito nella sezione sequenze video
La mostra propone una selezione di testimonianze tratte da 450 memorie, raccolte nel corso della ricerca storica, avviata dal 2000 nell’ambito della campagna nazionale per il risarcimento del lavoro forzato degli italiani nella Germania nazista.
Queste memorie sono pubblicate sul sito: http://www.schiavidihitler.it.
La deportazione riguardò 700 mila militari, 23 mila deportati per motivi politici, destinati alla più brutale schiavitù e all’annientamento fisico e circa 100 mila civili rastrellati o precettati. A questi vanno aggiunti oltre 6800 ebrei deportati dall’Italia, in gran parte sterminati nelle camere a gas.
I deportati italiani furono affiancati a milioni di schiavi catturati nei paesi occupati e trasportati sul territorio del Reich per essere sfruttati dalla macchina bellica nazista.
I protagonisti raccontano le tappe di un vero e proprio calvario: dalla cattura nei giorni dell’Armistizio, l’8 settembre 1943. al trasporto nei carri bestiame; dalla detenzione nei Lager al lavoro forzato e schiavistico; fino al loro rimpatrio.
Privati dei benefici della Convenzione di Ginevra e dell’assistenza della Croce Rossa Internazionale, gli IMI rifiutarono le proposte di arruolamento dei nazifascisti scegliendo in massa con dignità e coraggio la brutalità dell’internamento, fatto di violenze, fame, sfruttamento e morte.
La loro fu una scelta di Resistenza non armata, una delle pagine della Resistenza italiana al nazifascismo che non ha avuto sino ad oggi adeguata valorizzazione.
Purtroppo a tutt’oggi non conosciamo il numero complessivo dei deceduti durante la cattura e nei Lager (si stimano oltre 50.000 vittime) o dopo il loro rimpatrio.
La causa degli schiavi di Hitler non ha ancora ottenuto giustizia. “Traditi, disprezzati, e dimenticati” così lo storico tedesco Gerhrard Schreiber ha definito gli IMI.
La loro sofferenza nei Lager e nelle imprese tedesche, molte delle quali ancora oggi esistenti, è rimasta confinata per lo più nelle memorie individuali.
Al coro di testimoni, a cui abbiamo voluto dare ALMENO UN NOME, dedichiamo questo lavoro.
Vogliamo inoltre ricordare Ricciotti Lazzero partigiano in Piemonte, giornalista dedicatosi alla ricerca negli archivi italiani e tedeschi, per aver scritto tra l’altro la sua monografia sugli schiavi di Hitler che ha ispirato il nostro lavoro, iniziato sotto la sua preziosa guida.
Claudio Sommaruga, vittima, testimone e storico della deportazione, che ha sempre apprezzato e stimolato la nostra attività.
Entrambi hanno speso il loro impegno sino alla fine della vita e ci hanno lasciato i loro documenti e biblioteche.
Accennare a tutti i protagonisti incontrati in questi anni non è possibile
Qui vogliamo ricordare i soci costituenti della nostra associazione:
Balilla Bolognesi, militare sfuggito alla cattura in Francia l’8 settembre 1943, rientrato a casa ad Esanatoglia (MC) dove, dopo mesi alla macchia. venne arrestato e deportato in Turingia; Carlo Della Torre, militare che dopo aver partecipato alla Resistenza di Rodi fu successivamente internato in Jugoslavia; Ines Figini, recentemente scomparsa, operaia deportata ad Auschwitz e Ravensbrueck in seguito agli scioperi del marzo 1944; Bruno Gervasoni, figlio di Francesco, operaio della Pirelli deceduto nel Lager di Kahla nel febbraio 1945; Luciano Manzi, comandante partigiano, senatore della repubblica, che tanto si è speso per il riconoscimento dei deportati italiani; Giovanni Negro, giovanissimo partigiano, incarcerato e deportato nel lager dell’Auto Union di Zwickau, Giuseppe Schiavio, Internato Militare Italiano.
Abbiamo avuto la fortuna di conoscerli e condividere con loro pezzi di strada per un giusto riconoscimento e per mantenere viva la memoria degli schiavi di Hitler.
Valter Merazzi
Presidente Centro studi “Schiavi di Hitler”